I Piani Individuali di Risparmio (PIR) sono nati con un obiettivo nobile: incanalare il risparmio degli italiani verso le piccole e medie imprese (PMI) del nostro Paese, favorendo così la loro crescita e lo sviluppo dell'economia reale. Un'idea brillante sulla carta, che ha saputo intercettare l'interesse degli investitori. Tuttavia, un'analisi più approfondita rivela una deriva preoccupante: le banche che offrono i PIR sembrano usarli per scopi ben diversi da quelli originari, trasformandoli in uno strumento per finanziare… se stesse.
Il Paradosso dei PIR Obbligazionari
Tradizionalmente, i PIR sono stati concepiti come prodotti orientati principalmente all'investimento azionario. Ma negli ultimi anni abbiamo assistito a un'inversione di tendenza: i PIR obbligazionari hanno catturato l'attenzione dell'industria del risparmio, che li ha proposti agli investitori come fossero dei fondi obbligazionari tradizionali, cavalcando la naturale propensione degli italiani verso la sicurezza del reddito fisso.
I numeri parlano chiaro: nell'ultimo anno, da giugno 2024 a maggio 2025, i PIR obbligazionari hanno raccolto ben 1,5 miliardi di euro. Nello stesso periodo, tutte le altre tipologie di PIR hanno registrato deflussi significativi: -319 milioni per gli azionari, -277 milioni per i bilanciati e -366 milioni per i flessibili. Sembrerebbe un successo per i PIR, se non fosse per un dettaglio cruciale.
Il Grande Inganno: Le Obbligazioni Bancarie nel Cuore dei PIR
Il vero nodo della questione emerge quando si analizza la composizione dei portafogli dei PIR obbligazionari. A dominare la scena non sono titoli di piccole e medie imprese innovative, bensì bond emessi dai grandi gruppi bancari. E la beffa è che, nella quasi totalità dei casi, le case d'investimento che gestiscono questi PIR sono emanazione degli stessi gruppi bancari che emettono le obbligazioni.
Attualmente, i PIR destinano oltre 2,5 miliardi di euro (pari al 13,7% dei 18,3 miliardi gestiti complessivamente) a obbligazioni emesse dalle banche. In altre parole, invece di finanziare le PMI, i PIR obbligazionari stanno diventando un canale privilegiato attraverso cui le banche finanziano… sé stesse!
Prendiamo l'esempio di Intesa Sanpaolo: al 30 aprile 2025, i PIR avevano ben 238 posizioni aperte sulle sue emissioni, per un'esposizione complessiva di 561 milioni di euro. Questa cifra è superiore persino all'investimento combinato su tutti i 120 titoli dell'indice FTSE Italia Small Cap (554 milioni). Ancora più eclatante è il fatto che ben 171 milioni di euro di questi investimenti (circa un terzo del totale) sono detenuti da PIR gestiti da società dello stesso gruppo bancario (Eurizon e Fideuram).
Lo stesso copione si ripete con UniCredit (232 posizioni aperte per 369 milioni di euro) e con altre grandi realtà bancarie come Banco BPM, Mediobanca, BPER, Iccrea, MPS, Credem, Popolare di Sondrio, Fineco e Banca Ifis. Sembra che a nessuna banca venga negata una fetta di questa torta "gestita" dai PIR.
Cosa Significa Tutto Questo?
Questa pratica solleva serie domande sull'integrità e l'efficacia dei PIR come strumento di politica economica. Se lo scopo è sostenere le PMI, è evidente che l'attuale impiego massiccio in obbligazioni bancarie devia drasticamente da questo obiettivo. I risparmiatori italiani, attratti dalla sicurezza apparente dei bond e dai benefici fiscali dei PIR, rischiano di ritrovarsi con un portafoglio che, pur rientrando nella normativa, di fatto supporta le grandi banche anziché l'ossatura economica del Paese.
È fondamentale che le autorità di vigilanza e i legislatori intervengano per ristabilire la rotta originale dei PIR, garantendo che il loro spirito non venga tradito da interessi particolari. Altrimenti, i PIR rischiano di diventare l'ennesimo strumento finanziario che, con il pretesto di supportare l'economia reale, finisce per servire gli interessi delle banche.
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