Mutui, è lecita la modifica dei tassi senza atto notarile
Nel 2008 una Srl immobiliare ha contratto un mutuo ipotecario a tasso variabile Euribor (6 mesi +spread 1,20%) per l’acquisto di un immobile commerciale. Nel 2016, per difficoltà nella riscossione dei canoni, la società ha chiesto alla banca di prorogare la durata del mutuo. L’istituto ha accolto la richiesta, prolungando di nove anni la durata residua del mutuo, ma, come contropartita, ha imposto ai soci la variazione in aumento dello spread al 2,75 per cento. In tutti questi anni, con l’Euribor negativo, la banca ha sempre applicato la clausola del tasso "floor", al di sotto del quale gli interessi non possono scendere (quindi la società ha sempre rimborsato il tasso del 2,75% pieno). Tali variazioni di tasso vengono formalizzate dalla banca non tramite un atto notarile, ma semplicemente con sottoscrizione di un nuovo piano di ammortamento ove compaiono le diciture «spread: 2,75%» e «tasso minimo 2,75%».
È regolare la condotta della banca, che ha cambiato il tasso senza atto notarile, e che ha inserito la clausola del tasso "floor" (non prevista nell’atto originario), senza prevedere almeno un "cap" (vale a dire un tetto massimo oltre il quale tale tasso di interesse non potrà mai salire)?
Risposta
La situazione prospettata dal lettore è riferibile all’ipotesi in cui due controparti, in questo caso banca e cliente, decidano volontariamente di modificare elementi accessori del contratto. Nel caso in esame la modifica riguarda la durata, lo spread e l'individuazione di un tasso floor. Tale operazione è sicuramente consentita, anche a voler prescindere dall’ipotesi specifica prospettata (difficoltà nella riscossione dei canoni), in conseguenza di una serie di princìpi invocabili, tutti comunque tesi alla salvaguardia del contratto. Anche la normativa settoriale (ad esempio l’articolo 39, comma 6-quater, del Dlgs 385/1993, testo unico bancario) lascia sempre aperta la strada della rinegoziazione del contratto, in questo caso rimettendola alla volontà delle parti. Poiché questa ipotesi non costituisce novazione, ma semplice modifica o integrazione del contratto già in corso, si può fare riferimento all’articolo 1231 del Codice civile.
Ne consegue che non è necessario stipulare un nuovo atto pubblico o iscrivere una nuova ipoteca sull’immobile individuato a garanzia, atti per i quali, invece, è richiesto l’intervento del notaio. Ferma restando, dunque, l’immodificabilità degli elementi essenziali, come le garanzie prestate, il nuovo accordo può interessare, piuttosto, gli elementi accessori del mutuo, come tasso di interesse, spread e piano di ammortamento. Ne consegue che la condotta della banca, nel caso prospettato, è da ritenere regolare.
Per quanto riguarda la seconda questione posta dal lettore, poi, la giurisprudenza maggioritaria propende per la legittimazione delle clausole "floor" nei contratti di mutuo, purché chiare e trasparenti: tali clausole, infatti, hanno «unicamente la funzione di tutelare l'istituto mutuante da fluttuazioni del mercato finanziario nel medio-lungo periodo» (Corte d'appello di Milano, sentenza del 17 gennaio 2023, n. 92). Inoltre, le clausole floor e cap sono tra loro indipendenti e non vi è alcun obbligo, da parte della banca, di prevederle congiuntamente. Anche in questo caso, di conseguenza, la condotta della banca si profila lecita.
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