Con la quotazione in Borsa dei fondi comuni di investimento, la speranza è che calino i costi per l’investitore finale. Sembrerebbe ovvio visto che oggi i due terzi della commissione annua di gestione finiscono al collocatore (Banca, Sim etc.) che ora verrebbe disintermediato. Spazio per ridurre i costi quindi ci sono.
Dalle prime notizie i fondi collocati in Borsa potrebbero avere una loro specifica classe e verosimilmente una commissione di gestione più bassa rispetto a quella stabilita sui canali tradizionali. Per esempio la ticinese Pharus Sicav ha annunciato una nuova classe dematerializzata dei comparti della loro Sicav per portarla in Borsa con un prezzo ridotto del 20-25% in meno della classe attualmente in distribuzione.
Occorre poi considerare il costo di sottoscrizione. I fondi in banca o tramite promotore possono prevedere anche una commissione di sottoscrizione, spesso scontata in forza degli ottimi guadagni con la semplice gestione. I fondi in Borsa invece avranno la consueta commissione di negoziazione che si paga quando si acquista o si vende un titolo sui mercati finanziari. Nei casi in cui sul fondo non si paghino commissioni di sottoscrizione o di riscatto, si deve quindi valutare anche il costo complessivo per stabilire il canale più conveniente.
Altro problema riguarda l’operazione di switch, operazione tipica tramite cui si passa da una categoria di fondo ad un altro della stessa SGR, solitamente senza costi. Nel caso dei fondi quotati l’operazione di switch si traduce in due distinte operazioni (vendita e acquisto) su cui gravano quindi due commissioni di negoziazione.
Considerando le commissioni di negoziazione, può essere inoltre costosa la formazione di un portafoglio tramite PAC (acquisti periodici, per esempio un tot al mese). Anche i piani di accumulo presentati dalle banche comunque spesso nascondono costi periodici non indifferenti.
I fondi in Borsa quindi consentiranno più scelta e concorrenza, sta poi all’investitore valutare su quale canale convenga acquistarli (valutando ovviamente anche le alternative come gli ETF).
Dalle prime notizie i fondi collocati in Borsa potrebbero avere una loro specifica classe e verosimilmente una commissione di gestione più bassa rispetto a quella stabilita sui canali tradizionali. Per esempio la ticinese Pharus Sicav ha annunciato una nuova classe dematerializzata dei comparti della loro Sicav per portarla in Borsa con un prezzo ridotto del 20-25% in meno della classe attualmente in distribuzione.
Occorre poi considerare il costo di sottoscrizione. I fondi in banca o tramite promotore possono prevedere anche una commissione di sottoscrizione, spesso scontata in forza degli ottimi guadagni con la semplice gestione. I fondi in Borsa invece avranno la consueta commissione di negoziazione che si paga quando si acquista o si vende un titolo sui mercati finanziari. Nei casi in cui sul fondo non si paghino commissioni di sottoscrizione o di riscatto, si deve quindi valutare anche il costo complessivo per stabilire il canale più conveniente.
Altro problema riguarda l’operazione di switch, operazione tipica tramite cui si passa da una categoria di fondo ad un altro della stessa SGR, solitamente senza costi. Nel caso dei fondi quotati l’operazione di switch si traduce in due distinte operazioni (vendita e acquisto) su cui gravano quindi due commissioni di negoziazione.
Considerando le commissioni di negoziazione, può essere inoltre costosa la formazione di un portafoglio tramite PAC (acquisti periodici, per esempio un tot al mese). Anche i piani di accumulo presentati dalle banche comunque spesso nascondono costi periodici non indifferenti.
I fondi in Borsa quindi consentiranno più scelta e concorrenza, sta poi all’investitore valutare su quale canale convenga acquistarli (valutando ovviamente anche le alternative come gli ETF).
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