In un precedente post mi sono occupato dei fatti inerenti alla cancellazione di Zopa dall’elenco degli intermediari finanziari. Ora cercherò di esprimere le mie opinioni sul fatto e in generale sul social lending.
Dopo la notizia della sospensione di Zopa tra i blog ed i forum c’è stato fermento, anche tra quelli che non si occupano di materie inerenti ai finanziamenti ma che semplicemente valutavano la società di social lending come un ulteriore esempio di società social o web 2.0 e quindi “amica”.
Tra i clienti e non solo è subito partita la campagna contro le banche e il sistema che non poteva accettare questo nuovo metodo di dis-intermediazione che le escludeva.
L’amministratore delegato di Zopa, Maurizio Sella, ha dichiarato tassi creditori medi intorno al 7%, debitori al 9,7%. Effettivamente sono buoni tassi per entrambe le parti anche se lato debitore bisognerebbe conoscere la rischiosità del cliente, oltre a capire se tale tasso è nominale o effettivo. Un esame di Soldi&Diritti, periodico di Altroconsumo, svolto nel marzo 2008 sul social lending italiano aveva evidenziato che i tassi per il debitore erano meno convenienti di quelli che si potevano trovare presso le banche. Lato creditore invece, stando a esperienze raccolte in rete, si potevano ottenere rendimenti del 4% netto, restando però il tema dell’alto rischio e dell’immobilizzazione delle giacenze sul conto di cui parlo dopo.
Non sono mai stato cliente Zopa, ma a detta di questi non ha mai brillato per trasparenza e semplicità (anche nei confronti di Booper). E’ da poco che era stato aggiunta la funzione per vedere i propri rendimenti. Inoltre le pratiche non erano sicuramente efficienti, i soldi rimanevano anche per lungo tempo (45 giorni in media) sul conto infruttifero di Zopa. E questo “zero interesse” mediava al ribasso gli interessi per il prestatore ma non le statistiche di Zopa.
Per la tutela degli utenti è ovvio che i prestatori si assumevano il rischio di insolvenza ma penso che i clienti di Zopa ne fossero perfettamente consapevoli. Tra le altre cose, mentre Zopa era chiara sul fatto che fornisse un servizio di recupero credito, Booper è più lacunosa scrivendo che in caso di mancato pagamento e non risposta ai solleciti “Boober.it comunicherà ai finanziatori le generalità del richiedente per dare loro la possibilità di adire le vie legali”. Come dire “noi ci abbiamo provato, ora sono xxxxx vostri”.
Lato debitore rivolgendosi al social lending non si hanno le tutele e le garanzie previste dalla normativa sul credito al consumo. Non penso fosse però un problema relativo alle due società di social lending attuale, sicuramente serie. Certo il problema potrebbe esserci se anche questo settore divenisse una giungla come quello delle finanziarie.
A difesa di Banca d’Italia c’è da dire che l’iscrizione all’elenco degli intermediari finanziari ex. art. 106 di Zopa avvenne quando responsabile per i controlli di questi intermediari era l’UIC (Ufficio Italiano Cambi) successivamente assorbito dalla Banca Centrale. Quindi è giustificabile un ritardo visto che è occorso del tempo affinché Banca d’Italia si sia dotata di una struttura per vigilare questi intermediari finanziari (che sono veramente tanti e molto diversi fra loro). La stessa banca aveva dichiarato quest’anno di voler stringere i cordoni al settore specie per quelli “di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento”.
E’ vero però che Altroconsumo aveva segnalato già a marzo 2008 la questione della raccolta di risparmio di Zopa e l'istituto di via Nazionale ha risposto “sottolineando fra le altre cose di non aver evidenziato problemi sul fronte della raccolta del risparmio, perché i gestori si limitavano a trasferire i fondi tra privati senza diventarne mai proprietari”. Insomma in Banca d’Italia era totalmente all’oscuro di come funzionavano i processi di Zopa.
Il concorrente, Boober, utilizza un sistema semplice per risolvere il problema. I soldi rimangono sui conti correnti dei clienti e sono trasferiti mediante RID solo al momento in cui il prestito si perfeziona. In questo modo i soldi passano direttamente dal conto del cliente creditore a quello del cliente debitore. Francamente mi sembra un processo semplice, non capisco perché Zopa non sia riuscita a replicarlo.
Il social lending è un’idea che mi piace. Non ne faccio però tanto una questione ideologica (contro le banche) o da internauta (“social di qui e social di là , tutto ciò che è social è bello”). Ma l’idea di mettere a contatto direttamente le parti di un prestito come in un’asta è sicuramente innovativa e teoricamente (se funziona) vantaggiosa ed efficiente.
Il primo dubbio che ho sempre avuto è se in Italia il social lending possa funzionare. In altri paesi, specie anglosassoni funziona. Devo ammettere che sono un po’ prevenuto contro il nostro paese, temo sempre che alla fine siano i furbi a prevalere e non c’è dubbio che qualche furbo si sia già intrufolato nel social lending. Sto parlando di alcune persone che hanno richiesto prestiti di piccola entità e dopo qualche rata pagata hanno smesso di farlo, capendo che i servizi di recupero crediti non erano così efficienti come quelli di banche e finanziarie. E’ anche vero però che l’allargarsi del fenomeno social lending (e il loro miglioramento in ambito valutazione rischio e recupero crediti) e l’esclusione dei furbetti ridimensionerebbe parecchio il problema. Insomma è una malattia che sembra curabile con la crescita.
Rimane di fondo il solito problema italiano. Quando si cerca di innovare si trova sembra qualche leggina che ostacola chi ha idee. Si è sempre detto che in Italia la Microsoft avrebbe chiuso dopo pochi mesi, una volta scoperto che Bill Gates e soci lavoravano in un garage. E’ anche vero che il settore dell’intermediazione finanziaria è delicato, dovendo tutelare anzitutto il risparmiatore. Si dovrebbe proprio per questo, e a maggior ragione dopo le vicende qui riportate, disegnare nuove regole che includano anche il fenomeno del social lending. Non sono esperto da sapere se occorrano leggi ad hoc, penso e spero che bastino le regolamentazione delle varie autorità di controllo. Per queste non servono tempi biblici!
Dopo la notizia della sospensione di Zopa tra i blog ed i forum c’è stato fermento, anche tra quelli che non si occupano di materie inerenti ai finanziamenti ma che semplicemente valutavano la società di social lending come un ulteriore esempio di società social o web 2.0 e quindi “amica”.
Tra i clienti e non solo è subito partita la campagna contro le banche e il sistema che non poteva accettare questo nuovo metodo di dis-intermediazione che le escludeva.
I tassi di Zopa erano convenienti?
Nel precedente post ho illustrato i vantaggi (ma anche i rischi) che dovrebbe avere il social lending, vale a dire tassi migliori sia per chi presta che per chi prende denaro. C’è da chiedersi se questi vantaggi ci siano stati veramente.L’amministratore delegato di Zopa, Maurizio Sella, ha dichiarato tassi creditori medi intorno al 7%, debitori al 9,7%. Effettivamente sono buoni tassi per entrambe le parti anche se lato debitore bisognerebbe conoscere la rischiosità del cliente, oltre a capire se tale tasso è nominale o effettivo. Un esame di Soldi&Diritti, periodico di Altroconsumo, svolto nel marzo 2008 sul social lending italiano aveva evidenziato che i tassi per il debitore erano meno convenienti di quelli che si potevano trovare presso le banche. Lato creditore invece, stando a esperienze raccolte in rete, si potevano ottenere rendimenti del 4% netto, restando però il tema dell’alto rischio e dell’immobilizzazione delle giacenze sul conto di cui parlo dopo.
Trasparenza e tutela risparmiatori
Altri problemi sollevati dal periodico di Altroconsumo erano la mancata trasparenza e la tutela degli utenti.Non sono mai stato cliente Zopa, ma a detta di questi non ha mai brillato per trasparenza e semplicità (anche nei confronti di Booper). E’ da poco che era stato aggiunta la funzione per vedere i propri rendimenti. Inoltre le pratiche non erano sicuramente efficienti, i soldi rimanevano anche per lungo tempo (45 giorni in media) sul conto infruttifero di Zopa. E questo “zero interesse” mediava al ribasso gli interessi per il prestatore ma non le statistiche di Zopa.
Per la tutela degli utenti è ovvio che i prestatori si assumevano il rischio di insolvenza ma penso che i clienti di Zopa ne fossero perfettamente consapevoli. Tra le altre cose, mentre Zopa era chiara sul fatto che fornisse un servizio di recupero credito, Booper è più lacunosa scrivendo che in caso di mancato pagamento e non risposta ai solleciti “Boober.it comunicherà ai finanziatori le generalità del richiedente per dare loro la possibilità di adire le vie legali”. Come dire “noi ci abbiamo provato, ora sono xxxxx vostri”.
Lato debitore rivolgendosi al social lending non si hanno le tutele e le garanzie previste dalla normativa sul credito al consumo. Non penso fosse però un problema relativo alle due società di social lending attuale, sicuramente serie. Certo il problema potrebbe esserci se anche questo settore divenisse una giungla come quello delle finanziarie.
Perché Banca d’Italia è intervenuta solo ora
Una delle critiche più ragionevoli poste sulla questione è perché la banca centrale sia intervenuta solo ora, visto che Zopa operava da 18 mesi.A difesa di Banca d’Italia c’è da dire che l’iscrizione all’elenco degli intermediari finanziari ex. art. 106 di Zopa avvenne quando responsabile per i controlli di questi intermediari era l’UIC (Ufficio Italiano Cambi) successivamente assorbito dalla Banca Centrale. Quindi è giustificabile un ritardo visto che è occorso del tempo affinché Banca d’Italia si sia dotata di una struttura per vigilare questi intermediari finanziari (che sono veramente tanti e molto diversi fra loro). La stessa banca aveva dichiarato quest’anno di voler stringere i cordoni al settore specie per quelli “di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento”.
E’ vero però che Altroconsumo aveva segnalato già a marzo 2008 la questione della raccolta di risparmio di Zopa e l'istituto di via Nazionale ha risposto “sottolineando fra le altre cose di non aver evidenziato problemi sul fronte della raccolta del risparmio, perché i gestori si limitavano a trasferire i fondi tra privati senza diventarne mai proprietari”. Insomma in Banca d’Italia era totalmente all’oscuro di come funzionavano i processi di Zopa.
Perché Zopa non ha sistemato la questione
Una cosa che non comprendo è perché Zopa non abbia provveduto in tempo a eliminare le motivazioni, che sono comunque corrette, per la quale è stata cancellata. La questione è scoppiata solo ora ma la procedura di cancellazione era stata avviata il 4 febbraio. In 5 mesi Zopa ha risposto in maniera insufficiente. La sua controproposta a Banca d’Italia, pur riducendo i tempi in cui veniva in possesso dei fondi degli aderenti, non li azzerava come richiesto dalla legge.Il concorrente, Boober, utilizza un sistema semplice per risolvere il problema. I soldi rimangono sui conti correnti dei clienti e sono trasferiti mediante RID solo al momento in cui il prestito si perfeziona. In questo modo i soldi passano direttamente dal conto del cliente creditore a quello del cliente debitore. Francamente mi sembra un processo semplice, non capisco perché Zopa non sia riuscita a replicarlo.
Il futuro del social lending in Italia
Certamente l’intervento di Banca d’Italia su Zopa mina le possibilità di sviluppo del social lending in Italia. In poco tempo la società era diventata la terze società in Europa. Oltre a Zopa e Boober, altre due società erano pronte ad entrare nel mercato italiano. Personalmente credo che la stessa Zopa sistemerà i problemi e chiederà la riammissione.Il social lending è un’idea che mi piace. Non ne faccio però tanto una questione ideologica (contro le banche) o da internauta (“social di qui e social di là , tutto ciò che è social è bello”). Ma l’idea di mettere a contatto direttamente le parti di un prestito come in un’asta è sicuramente innovativa e teoricamente (se funziona) vantaggiosa ed efficiente.
Il primo dubbio che ho sempre avuto è se in Italia il social lending possa funzionare. In altri paesi, specie anglosassoni funziona. Devo ammettere che sono un po’ prevenuto contro il nostro paese, temo sempre che alla fine siano i furbi a prevalere e non c’è dubbio che qualche furbo si sia già intrufolato nel social lending. Sto parlando di alcune persone che hanno richiesto prestiti di piccola entità e dopo qualche rata pagata hanno smesso di farlo, capendo che i servizi di recupero crediti non erano così efficienti come quelli di banche e finanziarie. E’ anche vero però che l’allargarsi del fenomeno social lending (e il loro miglioramento in ambito valutazione rischio e recupero crediti) e l’esclusione dei furbetti ridimensionerebbe parecchio il problema. Insomma è una malattia che sembra curabile con la crescita.
Rimane di fondo il solito problema italiano. Quando si cerca di innovare si trova sembra qualche leggina che ostacola chi ha idee. Si è sempre detto che in Italia la Microsoft avrebbe chiuso dopo pochi mesi, una volta scoperto che Bill Gates e soci lavoravano in un garage. E’ anche vero che il settore dell’intermediazione finanziaria è delicato, dovendo tutelare anzitutto il risparmiatore. Si dovrebbe proprio per questo, e a maggior ragione dopo le vicende qui riportate, disegnare nuove regole che includano anche il fenomeno del social lending. Non sono esperto da sapere se occorrano leggi ad hoc, penso e spero che bastino le regolamentazione delle varie autorità di controllo. Per queste non servono tempi biblici!
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