Un libro che vuole spiegare tutto… e finisce per esagerare
La guerra della finanza di Alessandro Volpi si presenta come un libro che “svela” ciò che sta accadendo davvero nei mercati globali: fondi americani in guerra tra loro, Europa schiacciata, Trump pronto a cambiare il mondo, e un futuro che sembra sempre sull’orlo della catastrofe.
Il problema è che, nel tentativo di costruire un grande affresco globale, il libro spesso forza, esagera e semplifica troppo.
Toni apocalittici: tutto sembra sempre sul punto di esplodere
Una delle prime cose che colpiscono è il linguaggio:
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“scontro totale”
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“resa dei conti”
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“guerra finanziaria”
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“traiettoria inevitabile”
Volpi descrive qualsiasi dinamica economica come se fosse il preludio a un conflitto mondiale tra blocchi di potere.
Questo rende la lettura avvincente, ma rischia di drammatizzare eccessivamente fenomeni che nella realtà sono molto più sfumati.
Fondi americani: potenti sì, ma non una mente unica
Il libro dipinge BlackRock, Vanguard e State Street come se fossero un’unica entità compatta, quasi un “super-stato finanziario” che muove i fili del mondo.
In realtà :
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i tre competitor si fanno concorrenza,
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non condividono una strategia politica,
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non operano come un cartello.
La loro influenza è enorme, ma non nel modo monolitico e coordinato che il libro suggerisce.
Questo è uno dei punti più fragili della narrazione.
Europa sempre vittima: una visione comoda ma poco realistica
Volpi descrive l’Europa come una specie di bambola di pezza in balia della finanza americana. Una posizione affascinante per un certo tipo di lettore, ma piuttosto riduttiva.
Mancano quasi del tutto:
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errori propri dell’Europa (energia, lentezza decisionale, innovazione mancata),
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problemi strutturali interni,
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responsabilità delle classi politiche europee.
Attribuire tutto agli USA significa semplificare eccessivamente un quadro estremamente complesso.
Molti dati, tante citazioni… ma la tesi è già scritta prima dei fatti
Una caratteristica evidente del libro è il suo modo di usare le fonti:
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tante citazioni, ma quasi sempre piegate per sostenere la stessa tesi;
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poca discussione dei dati che andrebbero in senso opposto;
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scarsa considerazione delle contro-argomentazioni.
L’effetto è che il testo sembra già “sapere” dove vuole arrivare, e seleziona informazioni utili a confermare quella linea.
È un approccio che funziona sul piano narrativo, ma indebolisce la credibilità analitica.
Conclusioni: utile come spunto, debole come analisi
La guerra della finanza è un libro che:
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si legge benissimo,
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mette sul tavolo temi reali (finanza, geopolitica, energia),
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e stimola riflessioni interessanti.
Ma rimane un testo:
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molto allarmista tendende al complottismo,
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troppo semplificato,
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e spesso più vicino alla narrazione ideologica che all’analisi economica rigorosa.
È una lettura che non consiglio, poco utile per aver una fotografia fedele della realtà finanziaria globale. Sono evidenti le forzature ideologiche e la scarsa conoscenza di certe dinamiche finanziarie. Il che purtroppo non sorprende, lo stesso metodo lo si trova spesso sui media di informazione italiani.
Invito piuttosto a leggere i libri di Federico Rampini, un autore che già in passato quando parlava di Wall Street e finanza Usa, ha dimostrato di conoscere l'argomento finanza. E un autore che sa discernere meglio i fatti, anche quando vanno contro la sua ideologia di fondo, dimostrandosi uno dei pochi autori oggi autorevoli e competenti. Vedi libri di Rampini.

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