Le polizze unit linked continuano a rappresentare una delle principali forme di investimento retail in Italia, ma a caro prezzo. Troppo caro. Un’analisi dettagliata pubblicata da Banca d’Italia rivela come i costi associati a questi strumenti siano sistematicamente più elevati rispetto a quelli dei fondi comuni d’investimento equivalenti. Il differenziale di costo, che può arrivare fino al 2,5% annuo, mette seriamente in discussione la sostenibilità di questi strumenti per il risparmiatore medio.
Un divario inaccettabile in un contesto competitivo
Che i prodotti assicurativi siano più costosi dei fondi è cosa nota, ma l’ampiezza del divario emerso dallo studio lascia poco spazio a giustificazioni. In particolare, le polizze unit linked che investono in fondi esterni – cioè quelli accessibili anche separatamente sul mercato – risultano in alcuni casi doppiamente onerose: il sottoscrittore paga sia le commissioni del fondo sia quelle della compagnia assicurativa. E tutto questo per un prodotto che, nella sostanza, non offre nulla di più rispetto a un investimento diretto.
Il nodo centrale è l’asimmetria informativa. Molti sottoscrittori non sono pienamente consapevoli della possibilità di ottenere le stesse esposizioni finanziarie a costi drasticamente inferiori. L’esistenza di strumenti equivalenti, facilmente accessibili tramite banche o piattaforme online, rende l’attuale sistema inefficiente e, sotto certi aspetti, opaco.
I costi: un labirinto per il risparmiatore
Lo studio mostra come i costi complessivi delle unit linked siano sostenuti soprattutto attraverso:
- Costi correnti più alti, legati alla gestione della polizza e alla duplicazione delle fee;
- Commissioni di distribuzione elevate, soprattutto per le polizze vendute da consulenti finanziari;
- Spese implicite, difficili da quantificare e spesso poco trasparenti nei prospetti informativi.
Si stima che il reduction in yield medio (ovvero la perdita annua di rendimento legata ai costi) per le unit linked con fondi esterni sia del 3,4%, contro l’1,7% delle polizze tradizionali. In un orizzonte di 10-20 anni, questo significa migliaia di euro in meno nel portafoglio dell’investitore, spesso senza che questi ne sia pienamente consapevole.
Il paradosso dell’investitore retail: due strade, stesso fondo, doppio costo
La critica più forte che emerge dallo studio riguarda il fatto che, nella maggior parte dei casi, l’investitore potrebbe semplicemente replicare il portafoglio della sua polizza comprando direttamente i fondi sottostanti. La differenza? Nessuna, se non l’assenza dei costi assicurativi aggiuntivi.
Eppure, le compagnie riescono ancora a distribuire questi prodotti grazie a canali di vendita ben radicati e a meccanismi psicologici che rendono il risparmiatore riluttante a valutare alternative: fedeltà alla banca, scarsa alfabetizzazione finanziaria, eccessiva fiducia nei consulenti.
La “consulenza implicita”: valore o alibi?
Uno degli argomenti ricorrenti a favore delle unit linked è che esse offrano una “consulenza implicita”, ossia un orientamento nella scelta degli investimenti, oltre a servizi come la copertura caso morte, la protezione patrimoniale o l’ottimizzazione successoria.
Ma la domanda è: questi servizi valgono il prezzo pagato? In molti casi, la consulenza è generica, non personalizzata, e la copertura assicurativa minima. L’assistenza che dovrebbe giustificare i costi aggiuntivi si traduce spesso in una vendita forzata travestita da supporto, dove l’interesse del consulente (remunerato a provvigione) ha la meglio su quello dell’investitore.
Un mercato viziato da poca concorrenza
Un altro aspetto inquietante riguarda la scarsa competitività del mercato. Le compagnie assicurative e i distributori tradizionali (banche, reti di consulenza) godono di un enorme vantaggio informativo e di un accesso privilegiato al cliente, che spesso si affida a loro per mancanza di alternative percepite.
Questa situazione riduce lo stimolo a offrire prodotti migliori a costi più contenuti. Il risultato è un sistema poco dinamico, in cui il prezzo dell’ignoranza lo paga il risparmiatore.
Le policy da rivedere: serve una scossa regolamentare
Alla luce dei dati emersi, appare evidente che servano interventi più incisivi da parte delle autorità:
- Maggiore trasparenza sui costi totali, obbligando le compagnie a dichiarare chiaramente quanto costa ogni servizio incluso nella polizza;
- Promozione della portabilità e confrontabilità dei prodotti, come già avviene in altri settori;
- Incentivi alla consulenza indipendente, scollegata dalla vendita di prodotti, per allineare gli interessi tra professionisti e clienti.
Conclusione: basta delegare alla cieca
Le polizze unit linked non sono da demonizzare a priori, ma vanno inquadrate per ciò che realmente sono: strumenti complessi, costosi e spesso poco trasparenti. Prima di sottoscrivere, è essenziale chiedersi: sto pagando per un reale valore aggiunto o solo per la mia ignoranza finanziaria?
La vera protezione del risparmio non risiede in una copertura assicurativa accessoria, ma nella consapevolezza delle proprie scelte. E oggi, più che mai, serve un cambio di paradigma: da risparmiatori passivi a investitori informati. Anche se vuoi rivolgerti a un consulente, ti consiglio prima di imparare le basi e i principi dei grandi investitori leggendo Impara a investire come i GURU.
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